La diva dei telefoni bianchi, bella di una bellezza unica, i suoi tratti particolari le davano un’aria aggressiva, soprannominata l’Orchidea nera, innamorata di uno dei personaggi più famosi del fascismo come Claretta Petacci e la sua collega Luisa Ferida, ma molto molto più fortunata.
Dora Durante era nata a Livorno il 25 aprile 1917 in una famiglia borghese di lontane origini ebree, con un padre che si definiva anarchico e una madre estremamente conservatrice e bigotta che voleva farne una “donna per bene” e il cinema non era certo cosa accettabile per ragazze di buona famiglia.
Doris era invece una ribelle, era attratta dal cinema, voleva a tutti i costi diventare attrice, scappò di casa a 15 anni per non sposare un ufficiale, e mandò di nascosto le sue foto alla Cines, gli studi cinematografici di Roma..
Cinecittà non esisteva ancora. Mussolini voleva dare nuovo impulso al cinema italiano, quasi annullato dalla produzione estera già dagli anni ’20, e i vecchi studi della Cines non erano più adeguati. Quando un incendio li distrusse nel 1935 venne acquistata la vasta area vicino alla Tuscolana per costruirne di nuovi. Nel 1936 iniziarono i lavori e la città del cinema venne inaugurata il 28 aprile 1937.
In questo nuovo contesto le foto di Doris vennero notate e venne chiamata per un provino. Sapendo che mai le sarebbe stato permesso presentarsi, rubò dei soldi a casa e prese il treno per Roma. Aveva 16 anni.
Le prime parti nel 1934 furono solo da comparsa, e nel 1935 e 1936 recitò in film di una certa importanza ma sempre con piccole parti. Nel 1937 arrivò il suo primo ruolo da protagonista in Sentinelle di Bronzo, dove interpretava una donna africana e fu il successo.
La famiglia voleva imporle di cambiare nome per la vergogna, ma Doris rifiutò, limitandosi a piccolissime modifiche per renderlo più particolare, da Dora Durante a Doris Duranti. Cambiavano le virgole, non la sostanza…
Doris divenne una delle attrici più richieste, fino ad arrivare al 1942 al film “Carmela” dove la scena in piedi a seno nudo restò epica, scatenando la rivalità con Clara Calamai che l’aveva già esibito nel film “La cena delle beffe” del 1941, ma distesa e per meno di un secondo.
La Duranti in una foto di scena di Carmela di Flavio Calzavara (1942)
Per la verità il primo seno cinematografico italiano in assoluto fu quello di Vittoria Carpi nel film “La corona di ferro”, ma in quel caso non si trattava dell’attrice protagonista.
Dal 1941 Doris era l’amante di Alessandro Pavolini, Ministro della Cultura Popolare, che aveva conosciuto durante la lavorazione del film “Il re si diverte” con una scena della danza dei sette veli estremamente osé per l’epoca.
Mussolini inizialmente non approvò questa relazione, lui aveva moglie e tre figli, e cercò di farla troncare, ma Pavolini rifiutò, aveva letteralmente perso la testa per Doris. Sembra però che il Duce, da grande estimatore di donne qual’era, dopo aver visto il film abbia detto a Pavolini, un semplice “Vi capisco”.
Alessandro Pavolini, classe 1903, era di famiglia aristocratica, studiò Legge e Scienze Sociali e si dedicò alla sua grande passione, il giornalismo. Fascista della prima ora, dai Fasci di Combattimento e la Marcia su Roma, fu grande amico di Galeazzo Ciano, livornese pure lui, fece carriera giornalistica e politica fino a diventare deputato nel 1934. Sempre occupandosi di giornalismo fu corrispondente di guerra in Eritrea e nel 1939 divenne Ministro della Cultura Popolare, fino a quando nel 1943 divenne direttore de “Il Messaggero”, pur continuando attivamente ad occuparsi di politica e restando una delle personalità più in vista del fascismo.
Il rapporto di Doris con Pavolini pare non essere mai stato frutto dell’interesse, né lei si interessò mai di politica. Lei era già ricca e famosa e sostenne sempre, anche molti anni dopo, che Pavolini fu l’unico uomo che avesse veramente amato. Non era una donna stupida e neppure ignorante, di Pavolini, che le dedicava infinite poesie, disse che ne apprezzava la cultura, la dolcezza e la raffinatezza.
Doris Duranti ed Elsa De Giorgi in visita ad un soldato ferito (1941)
A Doris interessava soprattutto l’immagine di se stessa, guadagnava cifre da capogiro che spendeva a piene mani per frequentare il bel mondo. Come il salotto di Galeazzo Ciano e Edda Mussolini, aristocrazia compresa.
Doris sosteneva che “è meglio bere acqua in un bicchiere dorato che champagne in un boccale di stagno”. Questa riassume la filosofia di Doris, l’apparire, l’avversione per la modestia e la vita borghese, il tutto unito a un carattere deciso, egocentrico e a una volontà di ferro.
Dal 1937 al 1943 girò 18 film, tutti di successo, anche se a vedere oggi gli spezzoni non sembrano certo film da Oscar ma si sa che i gusti cambiano nel tempo, e divenne l’attrice italiana più pagata . Le cose però stavano per precipitare, il 25 luglio 1943 con la caduta del fascismo Pavolini si rifugiò nell’ambasciata tedesca e dopo aver messo al sicuro moglie e figli chiamò Doris per dirle addio.
La casa di Doris venne perquisita, ma Pavolini aveva già lasciato l’Italia per la Germania grazie all’aiuto economico di Doris stessa, che le fece avere le 32 sterline d’oro di un braccialetto. Il 18 settembre Pavolini rientrò a Roma, ma dopo la breve permanenza in Germania era cambiato. Era diventato un fanatico, strenuo sostenitore di Mussolini, del quale era ormai il braccio destro, e della Repubblica Sociale.
Solo con Doris era restato l’ uomo sensibile di un tempo, con i nemici era diventato violento e spietato. Fu lui il più implacabile nello spingere alla condanna a morte alcuni traditori il 25 luglio, compreso il suo grande vecchio amico Ciano, facendo pervenire in ritardo a Mussolini le domande di grazia nel timore che il Duce le firmasse.
A Doris non interessava affatto la sorte del fascismo, lei pensava solo al suo uomo, e lo seguì a Milano, dove a causa del suo cognome ebreo venne arrestata per errore dai tedeschi e dovette intervenire Pavolini per farla rilasciare dopo un paio di giorni di prigionia. Doris si trasferì poi a Venezia per riprendere la carriera cinematografica nel Cinevillaggio, la risposta della Repubblica Sociale a Cinecittà.
Girò due film nel 1944 ed uno restato incompiuto nel 1945. Tornò poi a Milano per stare vicino a Pavolini, che voleva seguire nella fuga verso la Svizzera e qui rincontrò i suoi colleghi Luisa Ferida con Osvaldo Valenti, ma i loro rapporti erano pessimi, Doris odiava le droghe e disprezzava chi ne faceva uso. Valenti, come moltissimi attori, era cocainomane, e anche la Ferida lo era stata anche se ora, all’ottavo mese di gravidanza, forse se ne asteneva.
Valenti e la Ferida, nonostante l’avanzata gravidanza di lei, furono fucilati il 30 aprile 1945 su ordine di Pertini. Inutile sottolineare che la Ferida fu una vittima completamente innocente come lo sarebbe stata Doris se fosse stata catturata.
A metà aprile 1945 Pavolini venne a sapere che anche Doris era nella lista dei ricercati dai partigiani e la costrinse a lasciarlo e andarsene, le procurò documenti falsi e il 23 aprile con l’aiuto di un amico e di 10.000 dollari, dopo 18 ore di marcia in montagna, lei arrivò in Svizzera.
Scheggia da “Calafuria”, 1943:
Doris non vide più l’amante, la cui fuga insieme a Mussolini e altri ministri e gerarchi della RSI finì il 27 aprile a Dongo. Il giorno seguente Pavolini fu fucilato e il 29 aprile il suo corpo appeso a Piazzale Loreto.
Doris, ricoverata in clinica a Moncucco sotto falso nome di Dora Pratesi venne riconosciuta da un’infermiera e arrestata per essere estradata in Italia. Disparata si tagliò le vene con una bottiglia, ma venne salvata.
In clinica il capitano della polizia elvetica Luciano Pagani, con l’hobby del cinema, si era innamorato di lei, dal campo dove era stata rinchiusa la fece trasferire in una clinica psichiatrica cercando di evitare l’estradizione, ma ottenne solo un rinvio. Organizzarono allora una finta estradizione in Italia, rientrarono in Svizzera con Doris avvolta in un tappeto nel bagagliaio dell’auto e si sposarono l’11 agosto 1945 a Campione d’Italia. Ora Doris era cittadina svizzera e quindi intoccabile. Inutile dire che per lei fu solo un matrimonio di interesse o meglio di salvezza.
Dopo un anno Doris non ne poteva più di questo marito noioso e borghese e chiese il divorzio. Lui non voleva concederlo, alla fine acconsentì solo per farla felice, la Doris in pericolo e impaurita che aveva sposato era ben diversa dalla donna sicura e autoritaria che si era rivelata. Come disse in seguito, lei riteneva di averlo già ricompensato abbastanza dandogli la possibilità di portarsela a letto per un anno intero e gli fu riconoscente per tutta la vita di averla salvata, ma non si trattava dell’uomo per lei.
“Il voto”, 1950:
Due uomini innamorati le salvarono la vita, se Pavolini non l’avesse costretta ad andare in Svizzera e se Pagani non l’avesse aiutata, avrebbe fatto la stessa fine della Petacci e della Ferida. Doris commentò che le amanti morivano col proprio uomo mentre le mogli stavano al sicuro. Alla fine l’attrice si trasferì in Sud America e rientrò spesso in Italia negli anni ’50 per girare altri 14 film, l’ultimo nel 1976 “Divina Creatura” di Patroni Griffi che la volle al fianco di Laura Antonelli, Durante la lavorazione di uno dei primi film conobbe il giornalista Mario Ferretti con il quale andò a vivere a Santo Domingo, dove restò anche dopo la fine del loro rapporto, e dove morì nel 1995. Non volle mai tornare a vivere in Italia, disse che era troppo cambiata.