Sebbene abbia compiuto 80 anni, il film “Arsenico e Vecchi Merletti” (Arsenic and Old Lace) continua ad essere considerato un capolavoro della commedia americana – esilarante malgrado le tinte macabre della trama – anche grazie all’interpretazione di uno scatenato Cary Grant, perfetto nella parte di Mortimer Brewster, che scopre il lato folle della sua famiglia: le sue due amabili ziette si rivelano assassine seriali (uccidono i loro pensionanti) mentre il fratello Teddy, rimasto bambino nella mente, non è così innocuo come sembra.
Le ziette folli interpretate da Jean Adair e Josephine Hull con Cary Grant
Immagine di pubblico dominio
Priscilla Lane e Cary Grant in “Arsenico e Vecchi Merletti”
Immagine di pubblico dominio
C’è poi anche il non proprio rassicurante fratellastro Jonathan, un pluriomicida che si trascina dietro un chirurgo plastico, il Dottor Einstein, incaricato di modificargli i lineamenti del viso, significativamente somiglianti a quelli di Boris Karloff, l’attore rimasto nella storia del cinema come immagine iconica del mostro Frankestein.
Insomma, alla base del film ci sono diversi inquietanti argomenti, trattati però secondo un registro comico che ne smorza del tutto la drammaticità. Per quanto “Arsenico e Vecchi Merletti” sia considerato il meno “capriano” dei film di Frank Capra, non smentisce la tematica del regista italo-americano, che nelle sue commedie considerate spesso populiste e troppo intrise di buoni sentimenti non manca mai di mostrare – con grande garbo – anche il lato negativo della società americana.
Frank Capra
Immagine di pubblico dominio
“Arsenico e Vecchi Merletti”, girato nel 1941, esce nelle sale cinematografiche statunitensi solo nel 1944. Il lancio del film viene rimandato per l’entrata in guerra degli Stati Uniti, ma anche per aspettare che finissero le rappresentazioni teatrali dell’omonima commedia, a Broadway. Il film di Capra è infatti la trasposizione cinematografica di un’opera di Joseph Kesselring, autore poco conosciuto (Arsenico e vecchi merletti è il suo unico successo) che riesce a mettere in commedia un racconto di per sé tanto drammatico quanto macabro.
Boris Karloff interpreta a teatro Jonathan Brewster, che ha i lineamenti di Boris Karloff
Immagine di pubblico dominio
E lo fa ispirandosi a un fatto reale, di cui aveva letto sui giornali quando era ancora un ragazzo. Il “genio”, la trovata vincente, si esprime proprio con questo audace gioco di inversione di registro.
Ricordandosi di quel caso che aveva fatto tanto scalpore nel 1916/17, Kesserling conduce delle ricerche proprio nel luogo dove erano avvenuti i fatti: la città di Windsor, nel Connecticut. Scartabella fra i documenti del tribunale e i giornali dell’epoca, fino a costruire una trama fantasiosa che si basa su una serie agghiacciante di omicidi.
Nella realtà, l’assassina seriale è solo una (non due sorelle zitelle), una donna sposata due volte, Amy Archer-Gilligan, detta Sister.
Amy Archer-Gilligan
Immagine di pubblico dominio
Amy, nata nel 1873, conduce una vita come tante altre: a 24 anni si sposa e mette al mondo una figlia. A partire dal 1901 la famiglia si trasferisce nella città di Newington presso un vecchio signore rimasto vedovo, per prestargli assistenza e occuparsi della casa. Quando l’uomo muore, tre anni dopo, la coppia prende in affitto dagli eredi la casa e la trasforma in quella che oggi definiremmo una casa-famiglia per anziani, la “Sister Amy’s Nursing Home for the Elderly”.
Un’idea geniale, perché all’epoca le strutture di quel tipo erano pochissime, vista la consuetudine di accudire gli anziani in famiglia. Ma la società statunitense stava cambiando, le famiglie allargate diminuivano e sempre più spesso si cercava una sistemazione diversa per un vecchio genitore magari rimasto vedovo e infermo.
Gli Archer si rendono conto di queste nuove necessità e mettono in piedi la loro attività, una sorta di pensionato per persone autosufficienti e allo stesso tempo una “casa di cura” per anziani ammalati e bisognosi di assistenza.
Archer Home
Nel 1907 i proprietari dell’immobile decidono di venderlo, così gli Archer si trasferiscono a Windsor, dove comprano una casa adatta alla loro attività.
E’ la Archer Home for Elderly and Chronic Invalids, dove vengono accolti all’incirca una decina di anziani.
La casa è sempre piena e gli affari vanno bene; d’altronde Sister Amy e il marito sono bravi a farsi pubblicità sui giornali locali e con accattivanti cartoline postali. Gli inquilini / degenti pagano una pensione settimanale compresa tra i 7 e i 25 dollari, ma possono optare per una cifra forfettaria di 1000 dollari, in cambio di assistenza a vita. Proprio quest’ultima formula è la preferita dai più, e forse grazie a queste entrate consistenti e immediate si insinua nella mente della donna un piano per incrementare gli affari. Piano che si sviluppa dopo il 1910, quando muore il marito e Amy rimane da sola a gestire l’attività, con ingenti tasse arretrate da pagare e le spese per l’istruzione della figlia dodicenne che non sono irrisorie (circa 450 dollari all’anno).
Oppure quel tarlo ha iniziato a rodere la donna prima ancora della perdita del povero James, che lascia questo mondo ad appena 50 anni, ufficialmente per cause naturali (una malattia renale), e magari è solo un caso che giusto poche settimane prima del triste evento lei abbia stipulato un’assicurazione sulla vita a nome del marito.
Cartolina pubblicitaria di Archer Home
Comunque siano andate le cose, l’unica certezza è che dal 1910 i decessi alla Archer Home salgono in maniera impressionante.
Alla fine del 1913 Amy si risposa con un ricco vedovo di 56 anni, Michael Gilligan, che guarda caso muore dopo tre mesi, per una patologia cardiaca alla quale si era associato un “attacco biliare acuto”, ovvero qualcosa che aveva a che fare con la digestione. La cosa sembra un po’ sospetta, perché l’uomo lascia un testamento dove l’unica erede è la moglie, escludendo i quattro figli avuti dal primo matrimonio.
Nella piccola città inizia a circolare qualche voce su quei decessi così frequenti ad Archer Home, che sembrano avvenire soprattutto tra chi aveva optato per il pagamento forfettario. Eppure, nessuno prende in seria considerazione la cosa: d’altronde gli inquilini di Sister Amy sono vecchi e malati e quindi la loro morte non è un evento inaspettato. Gli ospiti, tra l’altro, sono spesso anziani soli, senza parenti vicini che si prendano la briga di vederci chiaro.
Almeno fino a maggio 1914, quando muore Franklin Andrews, che ha 60 anni e magari ha qualche difficoltà nei movimenti, ma che tutto sommato gode di buona salute, tanto da dedicarsi con passione alla cura del giardino di Archer Home. Il 29 maggio 1914 sta giusto ridipingendo la staccionata che delimita la proprietà, quando all’improvvisa collassa e muore nel giro di un giorno. Causa della morte: ulcera gastrica.
Il signor Andrews ha però una sorella, Nellie Pierce, con la quale intrattiene una regolare corrispondenza: le scrive della sua vita alla Archer Home e racconta anche dell’insolito numero di decessi che si stanno susseguendo nella casa. Quando Nellie mette ordine tra le cose del defunto fratello, trova delle lettere di Amy nelle quali la donna chiedeva insistentemente dei soldi. Insospettita, la donna porta al procuratore distrettuale le lettere di Amy e anche quelle del fratello, ma ne ricava ben poco. Intanto, il ritmo dei decessi ad Archer Hpme non accenna a calare, così Nellie porta le lettere del fratello al giornale locale, l’Hartford Courant, dove lavora Carlan Goslee, che vive proprio a Windsor e si occupa anche di redigere i necrologi delle persone decedute in città.
Il giornalista è già da diverso tempo insospettito da tutte quelle morti nella residenza per anziani, comunque troppe anche tenendo in considerazione l’età e le condizioni di salute degli ospiti. Conduce allora una piccola inchiesta personale: verifica nei registri delle farmacie locali le vendite dei veleni e scopre che Amy ha comprato, nel corso del tempo, grandi quantità di arsenico, con la scusa di doversi liberare dei topi.
L’editore dell’Hartford Courant incarica altri giornalisti di approfondire l’indagine. Salta fuori che nelle due strutture gestite da Amy erano morte, tra il 1907 e il 1916, sessanta persone: dodici nei primi tre anni e ben quarantotto nei successivi cinque. Per avere un quadro generale più dettagliato, il giornale confronta i dati dell’ultimo quinquennio con quelli di una struttura simile della città di Hartford. Il numero di morti è quasi uguale, ma gli ospiti sono assai più numerosi: sette volte quelli di Windsor.
Oltretutto, c’è un filo che lega tutti quei decessi: sono perlopiù inaspettati e improvvisi, dovuti a problemi allo stomaco.
Tutte queste strane coincidenze inducono la polizia ad aprire un’indagine, con la conseguente riesumazione dei cadaveri delle probabili vittime. Si scopre così che il povero Franklin Andrews ha in corpo una quantità d’arsenico in grado di “uccidere una mezza dozzina di uomini forti”.
Amy Archer-Gilligan viene arrestata l’8 maggio 1916, con l’indagine che si protrae ancora per un anno. In tutti i cinque corpi riesumati, compreso quello del secondo marito, viene trovato dell’arsenico o della stricnina. Poi, esaminando meglio il testamento di Gilligan, si scopre che è un falso, scritto dalla stessa Amy.
Quando si arriva al processo, l’avvocato difensore della donna ottiene la riduzione dei capi d’imputazione: dei cinque omicidi gliene viene contestato solo uno, quello di Franklin Andrews. Amy Archer-Gillian viene condannata a morte, ma nel 1919, al processo d’appello, la donna è dichiarata “pazza” e perciò la pena viene commutata con l’ergastolo. Nel 1924 Amy è trasferita nella casa di cura per malati mentali di Middletown, dove rimane reclusa fino a quando non muore, nel 1962.
Dopo questa orrenda storia, lo stato del Connecticut introduce delle norme relative a controlli obbligatori nelle case di riposo, inclusi i rapporti annuali sui decessi.
Quella vicenda, riportata da tutti i giornali statunitensi, rimane come un chiodo fisso nella mente del drammaturgo Joseph Kesserlig, che all’epoca dei fatti era solo un ragazzo. Nel 1941 porta in scena la sua commedia, replicata a Broadway per tre anni e altrettanti a Londra. Quella storia macabra e grottesca, che si svolge ad Halloween, ha sempre riscosso un grande successo di pubblico in tutto il mondo ed è stata riproposta più volte anche nei teatri italiani e poi in televisione.
Verrebbe da chiedersi il perché: se in Italia non molti conoscono la terribile realtà che sta dietro la commedia, negli Stati Uniti, dove la piece teatrale fa ancora scuola tra compagnie di dilettanti e non, la storia di Amy Archer-Gillian è ben conosciuta. La donna viene forse presa come esempio della difficoltà di riconoscere i “mostri”, che spesso hanno un ingannevole aspetto, come quello di una mite vedova, tutta casa e chiesa, dedita alla cura della figlia e di anziani soli e infermi. Come liberarsi della paura del “mostro” che può celarsi dietro ogni buon cittadino? Mettendola sul ridere. Se ci si riesce…